lunedì 24 marzo 2008

Oshiruko

Ultimamente un mio amico mi ha fatto un regalo inaspettato. Mi è arrivato un pacchetto nipponico contenente qualche delizia che qui in Italia è difficile trovare. Premettendo ke al maritino si accappona la pelle al solo pensiero di considerar deliziosi dolci a base di maccha o anko, io non posso davvero fane a meno. Mi intristisco se non posso assaggiarli per troppo tempo; perchè mi fa avvertire quanto la distanza pesi ancora sugli indicibili lussi e comodità apportati dal mercato globale. Anche se la mia anima ecologista agonizza al pensiero degli aerei merci che trasportano da una parte all'altra del mondo queste inutili piccolezze, faccio voto di tipicità nella mia spesa quotidiana promettendomi di incrementare formaggi e verdurame locale per espiare... Ma rinunciare al maccha, come si fa? Recentemente una dottoressa, peraltro nel giusto, mi ha intimato di eliminare dalla mia dieta caffè, cioccolata, piccante, pomodori, agrumi e alcolici... ma il maccha no, non ci riesco. E sinceramente anche al cioccolato concedo qualche peccaminosa svista. Nel pacchetto oltre alle mie consuete dosi di maccha in polvere, c'erano anche due ciotoline di oshiruko liofilizzato. Cavolo, liofilizzano proprio tutto.... come dire che qui potremmo fare il tiramisù o la pastiera liofilizzata, per chi non ha tempo di fare quelli veri. Il tempo è sempre un lusso che si paga caro, chi lavora lo sa bene. E chi più dei giapponesi ne è consapevole? Ma bando ai compromessi qualitativi, che fin quando si può si evitano, queste coppette di polistirolo in cui versare acqua calda ed aspettar due minuti, son davvero un giocattolo prodigioso. Dopo aver miscelato per bene, l'oshiruko sembra assumere un aspetto quasi convincente. Il mochi sprofonda invece di galleggiare, ma va bene lo stesso. Ne prendo un cucchiaino, lo assaggio e.... mi viene da piangere. Primo, perchè sento la mia anima trasporta virtualmente in Giappone. Secondo, perchè le mie papille gustative inferiori constatano un retrogusto di polistirolo. Un viaggio breve, un ritorno un pò brusco. Ma mi è bastato. Anche il maccha ice funziona bene, e mi si bloccano le lacrime in gola, di solito. Ma niente come lo zenzai mi teletrasporta indietro nel tempo e nello spazio, fino a collocarmi a Tokyo, in un locale sotterraneo di Ginza, assieme ai miei amici Isao e Yuki. Forse sarà perchè solo in giappone una pappetta dolce e calda di fagioli rossi con roba molliccia e bianca che galleggia può essere considerato un dessert. Sarà anche rivoltante a vedersi, come molti qui in Italia mi hanno fatto notare. Eppure io lo trovo bellissimo. Ha davvero un sapore magico, che mi riporta in Giappone. Non so come mai. Ma mi sale dentro una malinconia struggente, come quella di un bambino rapito a cui viene data dopo anni di reclusione una fetta di torta fatta dalla mamma. Alla faccia delle madeleine di Proust... è una cosa che non si può spiegare.

sabato 8 marzo 2008

Dimensioni oniriche

Avete mai sentito parlare della teoria delle stringhe? Mi viene da ricordare quando da piccola tracciavo ragnatele pluridimensionali all'interno dell'armadio di balsa nella mia cameretta di Campobasso. Ogni istante portava ad una o più biforcazioni, in un gioco a scatole cinesi infinito. Diciamo, un numero di scatole (che chissà perchè immagino sferiche) che si aggira sul 10 alla 500sima. Alla faccia della potenza... in tutti i sensi.
Nei miei giochi da bambina immaginavo di essere una viaggiatrice multidimensionale; e, è logico, avevo bisogno di una mappa per orientarmi. Povero armadio, inciso nelle sue interiora di morbido legno e vandalizzato da generazioni di ragazzine annoiate che avevano dormito lì. Forse se gli avessi tracciato dentro un albero genealogico per lui sarebbe stato lo stesso, o almeno avrebbe avuto un indizio dei nomi dei piccoli malvagi che l'avevano vessato per decenni... Sarà mica per questo che di notte si apriva cigolando terribilmente? Mi ero convinta che fosse per l'umidità notturna, ma forse si trattava di una sua piccola vendetta. Chi abita in case con mobili di legno vero sa che quando sale la luna in cielo loro gridano, sussurrano, e chissà che cosa si raccontano. Non avevo proprio la coscienza pulita nei suoi confronti se prima di affondare nel mondo onirico, col suo sottofondo di cigolii immaginavo ogni notte un'armatura inanimata che veniva a tagliarmi i polsi con una daga gigantesca e rugginosa. O a volte, che sull'uscio (che dal mio letto non potevo vedere perchè coperto dalla porta aperta) ci fosse l'Uomo che Sta ad Osservare. Restava lì, immobile: non poteva varcare le soglie, ma rimaneva lì a guardare. Lui mi vedeva; io lo sentivo. Poi, affondavo nel sonno come in un liquido denso e soffice al tempo stesso. Ed ecco il varco: i sogni. Le stringhe vibrano, e vanno in corto circuito; sfioro luoghi con logiche differenti, con leggi fisiche sottosopra, provo sensazioni, pensieri che non saprei descrivere, parole che non potrei pronunciare nel mio mondo. Non so se è per tutti lo stesso, ma io vedo i colori; ho cognizioni tattili, e uditive. Raramente sento anche profumi, ma non potrei affermare con certezza che li percepisco col naso. Il gusto infine, è la parte meno stimolata, anche se quando sogno certi baci poi al risveglio mi rimane la sensazione sulla punta delle labbra, come un formicolìo.
Sono curiosa: un paio di gemelli monozigoti che vive la stessa identica giornata, fa sogni differenti? Il sogno è stato psicoanalizzato, e ridotto a un evento schizoide o di autoinganno preservativo; è stato interpretato, ed è servito come calderone per tirar fuori profezie e comunicazioni medianiche con l'aldilà e con Dio. Povero sogno, anche lui come il mio armadio è stato vandalizzato da generazioni. Ma se fosse anche un metodo di comunicazione? Insomma, tramite internet ormai ci siamo emancipati dalla materia per comunicare. A nessuno è mai venuto in mente di tentare di comunicare tra dimensioni attraverso i sogni? Forse è un limite dell'umanità, perchè non sappiamo elaborarne un metodo, una scienza; non sappiamo spiegarne la logica, imbrigliarla all'utilizzo. Non è mai una sicurezza, un sogno: ci mette in gioco del tutto, ci scava dentro. Troppo intimo, segreto, per condividerlo come si fa con le parole, con i gesti. Ma di una cosa sono certa: non ho mai sentito parlare (tranne che nel mondo della celluloide) di sogni che uccidono. Ogni volta che sono morta, nell'universo onirico, sono risorta in questo. perciò, perchè non tentare? C'è gente che sfida la morte; perchè non sfidare la materia, attraverso il sogno?