lunedì 25 febbraio 2008

Il complesso di Penelope


Chissà se mi sto ammalando di indecisioni. Forse la paziemza smisurata non è un pregio, forse vale la pena fermarsi a guardare la tela ogni tanto, piuttosto che continuare a tessere imperterrita. Però tessere dà una tale sicurezza... Penso che Penelope non ce l'avrebbe fatta a restare sola tanti anni, se non avesse addormentato il suo cuore con la nenia del fare e disfare... un pò come quella che le casalinghe sagge conoscono bene, e che usano come incantesimo di annullamento. Non sono più io, sono le cose che faccio, sono il ritmo della navetta che scivola veloce avanti e indietro tra le onde dell'ordito, ipnotica, rassicurante.

Mi sono riletta quel passaggio finale dell'Odissea, attraverso le parole di Pindemonte, mentre il treno della linea Fara Sabina mi cullava. Quello dell'ultimo trucchetto di Penelope, dell'ultimo muro del suo cuore d'acciaio, indurito e al contempo sospeso, prima di abbandonarsi alle lacrime e credere davvero. E mi è venuta in mente anche la sfortunata dama di Shalott, ritratta come solo i preraffaelliti sanno fare, con quel cremisi e quei capelli morbidi, e le tappezzerie così raffinate che sembrano palpabili. Lei non attendeva, poverina, perchè non c'è speranza nelle maledizioni. E la sua era quella di non poter vedere la realtà con gli occhi, ma solo attraverso fumosi specchi, e ritrarla sulla tela che tesseva giorno dopo giorno. Chissà se davvero la speranza fa la differenza? E' meglio un cuore di ghiaccio, o uno di vetro? Se non arriva nessuno a sciogliere il ghiaccio, se non viene nessuno a spezzare il vetro, c'è davvero senso nel tessere?

Nessun commento: