Banana Yoshimoto mi lascia addosso sempre una sensazione un pò vaga, come una storia di cui dimentico la trama, come una pellicola leggera di parole che si stacca dalla mia pelle per mostrarmi sotto una nuova lucida me stessa. Nell'istante stesso in cui poi si esauriscono le pagine, avviene un subitaneo tabula rasa, e mi stupisco di com'è semplice dimenticare le parole, lasciando invece accumulare nel profondo le sensazioni. La mia nuova pelle diventa subito opaca e grigia, e comincia a tornare la corazza di sempre. Però dentro, come un'eco morbida e potente, rimane un senso di miracolo, di ingenua grazia fragile e inaspettata, e una luce calda e soffusa mi si deposita nel cuore. Danza assieme alle scintille di mille altre voci, e canta una vecchia ballata medievale che addormenta l'ombra come una ninna nanna. Chissà se lo spirito può sorridere: quando sento questa luce dentro, ho la sensazione che sia possibile.
E poi, a volte, questa luce filtra attraverso gli specchi dell'anima; vibra di meraviglia come il riflesso della luna in fondo a un pozzo, alla notizia che dentro il ventre di una persona cara sta nascendo una microscopica vita. O esonda maree di gioia, piccoli torrenti di lacrime nati chissà dove, dall'oceano che ciascuno custodisce dentro come ricordo primordiale di materno amore. E l'attimo che innesca questa esplosiva reazione spirito-corpo, che sconvolge e rimescola tutto, può anche essere una semplice notizia che appare sul display di un telefonino, mentre una coccinella distratta si posa sul vetro e vibra le antenne all'unisono col battere del tuo cuore.
Ma come si fa a non credere nei miracoli?