Forse è per questo che sguazzo nel copywriting mantenendomi giusto sul bordo dell'abisso, da brava funambola cieca che ascolta il vento più che badare alle regole wikipediane. Per ora però, coi miei gessetti colorati di certo non riuscirei a raggiungere la complessità di un Picasso; e nel caso esploda una illuminazione da supernova nel mio cervello, lo sapranno anche le talpe, lo prometto, alla faccia della mia timidezza. Insomma, per ora rimastico gli stessi titoli e mi muovo nei soliti confini, perchè è questo che mi fa portare il pane a casa. Comodo veleno moralmente degradante, come fare la spesa senza leggere gli ingredienti e le multinazionali produttrici, perchè fa risparmiare tempo.
Tempo che quando va bene si passa a pensare. Pensieri che implodono in sè stessi, si frantumano in polvere di stelle, e si spargono in fantasie a vicolo cieco a cui sono ormai abituata. Il mio callo dello scrittore si è trasferito dentro, nascosto tra circonvoluzioni cerebrali a me ignote, e si attiva in automatico lasciando scorrere immagini e sensazioni. Mi rilassa, e lascia in pace la mia tendinite latente.
Insomma, pensare pesa, come vedere. Per guardare, per sentire, basta un romboencefalo, nel senso che il rumore ottundente che ci avvolge è diventato tutt'uno con noi.
Forse è per questo che scrivo di meno. Comincio ad apprezzare il silenzio. O ad abituarmici.